Quando un anziano che è stato silenzioso per tutta la vita se ne va, la tentazione è particolarmente grande di chiamarlo spesso e ad alta voce. Per riempire il silenzio, il vuoto. In La Gazzetta dello Sport Sono diciassette pagine. Luigi “Gigi” Riva, forse uno dei migliori attaccanti che il calcio abbia mai visto, ma sicuramente il miglior calcio italiano che abbia mai visto, aveva un soprannome datogli una volta dal grande giornalista sportivo Gianni Brera: “Rombo di Tono”. , rombo di tuono.
Riva ha attaccato così la difesa avversaria: con la forza della natura, la corsa veloce che ha aperto la partita, e anche con l'acrobazia. E con questa astuzia innata che possiede chi ha obiettivi incondizionati. Circa solo un piede, a sinistra. Per camminare usava solo quello destro. Nessuno ha segnato più di Riva per la Nazionale italiana: 35 gol in sole 42 partite, una quota come un'eredità. Nel 1968 divenne campione europeo con Azzurri.
Tutti ormai ricordano una sera a Città del Messico, il 17 giugno 1970, la semifinale del Mondiale del secolo, tra Italia e Germania Ovest, 4:3: pura nostalgia calcistica per intere generazioni. Riva ha segnato un gol portando il punteggio sul 3-2. Le sue braccia tese e i pugni chiusi rimasero impressi nella memoria collettiva del Calcio. Di questa squadra facevano parte anche: Gianni Rivera, Roberto Boninsinha, Sandro Mazzola, Tarcisio Burgnich, Giacinto Facchetti. Nella finale ci è voluto il Brasile di Pelé per fermare questi italiani.
Lo sponsor della Juve Agnelli ha dato tutto per Gigi Riva, ma non è bastato
Ma se l'Italia – e la Sardegna in particolare – ricordano Gigi Rivas con tanta simpatia, morto a 79 anni per un infarto, è almeno in parte per il suo stile di gioco e per i suoi gol. Riva ha impressionato tutti per la sua onestà umana e lealtà. Luigi Riva è nato a Legiono vicino a Varese, nell'estremo nord dell'Italia. La famiglia era povera, quattro figli, Gigi e tre sorelle. Il padre morì quando il ragazzo aveva nove anni. La madre doveva lavorare, così portarono Luigi in un orfanotrofio.
A quel tempo, Riva disse una volta di essere stato testimone dell'umiliazione subita da tutta la povera gente. “Dovevamo sempre essere silenziosi, obbedienti e organizzati, come i bambini grandi”. Presto morì anche la madre. Luigi Riva si è distinto nei tornei estivi. Dimostrava una serietà straordinaria quando giocava a calcio, e la vita lo aveva addestrato a farlo.
Il Cagliari Calcio lo portò sull'Isola quando aveva 19 anni. Gigi Riva trascorrerà qui tutta la sua carriera. Ha resistito a tutte le sirene: Inter, Milan, Juventus, Torino, lo volevano tutte le big. Gianni Agnelli, sponsor della Fiat e della Juve, gli offrì un miliardo di lire se fosse passato alla Juve, una somma assolutamente folle per l'epoca. Ma Riva rifiutò, ritrovando la sua anima nella sua terra natale. Con Riva e grazie a lui il Cagliari diventa campione d'Italia nel 1970. Questo è stato il primo titolo della Sardegna e rimane fino ad oggi l'unico titolo.
Riva era più sardo che sardo: veniva dal nord Italia
A quel tempo la Sardegna era all’estremo sud, povera e abbandonata. Nella concezione volgare della terraferma, l'isola era un luogo incantato in mare aperto per pastori e briganti. Con il suo ostinato rifiuto di cedere alle tentazioni della ricchezza e della fama, Riva contribuì notevolmente alla capacità dei sardi di accrescere la propria autostima, afferma lo scrittore sardo Marcello Foa. Il Riva era più sardo che sardo, un'offerta sarda. Lo chiamavano anche “Re di Sardegna”.
Nel 1976 smise di giocare per la millesima volta dopo aver subito un grave infortunio. Riva non si è mai tirato indietro, gli avversari gli hanno rotto le ossa. Dal 1990 al 2013 è stato allenatore della Nazionale, mascotte e figura paterna dei ragazzi. Calmo e severo. Le bandiere in Sardegna furono appese a mezz'asta fino alla sua sepoltura.
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